Il velo strappato al Corano

Corano: il velo strappato

(Quel che avreste voluto sapere ma non vi avrebbero mai detto)

Opera Di Toby  Lester


Ricercatori con vari interessi accademici e teologici stanno proponendoteorie controverse sulla storia del Corano e dell’Islam, e si sforzano di interpretare nuovamente l’Islam per il mondo odierno. Si tratta di una “faccenda delicata”, come afferma uno studioso in questo Documentario .

Nel 1972, durante i lavori di restauro della Grande Moschea di San’a nello Yemen, alcuni operai scoprirono per caso un insolito sepolcro, anche se al momento non si erano resi conto di cosa fosse. Questa loro ignoranza era giustificata dal fatto che le moschee normalmente non hanno luoghi di sepoltura ed in questa non c’erano pietre tombali, né ossa umane né gioielli funebri. C’erano soltanto un mucchio di pergamene e documenti cartacei di nessun interesse-libri consunti e pagine di testo in Arabo, amalgamati insieme da secoli di piogge ed umidità, rosicchiati da ratti ed insetti. Gli operai volevano finire i loro lavori e perciò raccolsero i manoscritti e li infilarono, schiacciandoli, dentro venti sacchi da patate. Li lasciarono sulla scalinata di uno dei minareti della moschea e lì sarebbero rimasti rinchiusi e di nuovo dimenticati se non fosse stato per Quadhi Isma’il al Akwa, l’allora presidente della Yemeni Antiquities Authority, che si accorse dell’importanza della scoperta. 

 Al-Akwa  chiese assistenza internazionale per esaminare e preservare i frammenti, e nel 1979 riuscì a coinvolgere uno studioso tedesco che in cambio convinse il governo tedesco ad organizzare e sovvenzionare un progetto di restauro. Subito dopo l’inizio del progetto, divenne evidente che il tesoro nascosto rappresentava un grandioso esempio di quello che si suol chiamare “ una tomba “cartacea”-in questo caso l’ultima dimora per decine di migliaia di frammenti di circa mille diversi manoscritti (codici) su pergamena del Corano, la sacra scrittura musulmana. In alcuni circoli religiosi musulmani si ritiene che le copie danneggiate o consunte del Corano debbano essere tolte dalla circolazione; da qui l’idea di una tomba che preservi la santità dei testi che vengono riposti, garantendo che verranno lette soltanto copie senza difetto.

Alcune delle pergamene Yemenite trovate risalirebbero al settimo e ottavo secolo D.C o ai primi due secoli dell’Islam- forse si tratta di frammenti dei Corani più antichi esistenti. È importante notare che alcuni  frammenti rivelano incongruenze minime ma molto interessanti nei confronti del testo coranico standard. Tali incongruenze, seppur note agli storici, sono seriamente in contrasto con il credo ortodosso musulmano attestante che il Corano che è arrivato fino a noi è unicamente la Parola di Dio perfetta, immutabile e senza età.

Lo sforzo secolare di  ri-interpretare il Corano, basato in parte sull’evidenza testuale fornita dai frammenti yemeniti, è inquietante ed offensivo per molti musulmani, così come i tentativi di 

ri-interpretare Bibbia e la vita di Gesù lo sono per i cristiani conservatori. Nonostante ciò esistono studiosi, anche musulmani che attribuiscono a questi tentativi di ri-interpretazione un ruolo importante per un risveglio islamico per riappropriarsi delle tradizioni; avanzare,cioè, guardando indietro. Pur essendo rilegato ad un ambito prettamente dottrinale, questo modo di pensare può tuttavia risultare molto influente e condurre ad un importante mutamento  sociale, come ci insegna la storia del Rinascimento e della Riforma. Dopotutto, il Corano oggi è il testo ideologicamente più influente del mondo.

 

Esaminando i Frammenti

Yemeni Koran Fragments, come originariamente ritrovati nel 1972. Fotografia di Ursula Dreibholz

Il primo studioso che ha esaminato accuratamente ed a lungo i frammenti Yemeniti è stato  Gerd-R.Puin nel 1988. Puin è un esperto di calligrafia arabica (o araba) e paleografia coranica della Saarland  Univ. ( Germania).

Puin, che era stato incaricato dal governo tedesco di organizzare e sovrintendere al progetto di restauro, si rese conto dell’antichità di alcuni frammenti di pergamena, e alle ispezioni preliminari scoprì assetti dei versetti non tradizionali, variazioni marginali di testo e rari stili d’ortografia
ed abbellimenti artistici. Anche i fogli di scrittura vergati coi caratteri arabici Hijazi rari e primitivi costituivano materiale di enorme interesse: parti di corani tra i più antichi che si conosca, quasi illeggibili dove si vedeva chiaramente che erano stati soprascritti su versioni precedenti cancellate, ancora più arcaiche. Puin cominciò a considerare i corani yemeniti come testi  in evoluzione piuttosto che la semplice Parola di Dio, cioè quella rivelata integralmente al Profeta Maometto nel settimo secolo D.C.

A cominciare dai primi anni 80 più di 15.000 fogli dei Corani yemeniti sono stati appiattite

ripulite, trattate, selezionate e messe insieme con cura meticolosa; adesso si trovano (“conservati per altri mille anni”, dice Puin) nella Yemen’s House of Manuscripts, in attesa di un esame dettagliato.  Ma pare che le autorità yemenite siano riluttanti a concedere il permesso di farlo. Puin spiega: “Le autorità  non vogliono che la faccenda sia messa in risalto,(anche noi del resto ma per ragioni ben diverse). Non vogliono far vedere che ci sono dei tedeschi ad occuparsi dei Corani; non vogliono che sia reso pubblico il lavoro che è in corso perché i musulmani sostengono che tutto ciò che c’è da dire a proposito della storia del Corano è stato già detto mille anni fa.”

Solo due studiosi  finora hanno avuto ampio accesso ai frammenti yemeniti: Puin ed il suo collega  H-C.graf von Bothmer, uno storico d’arte islamica, anche lui dalla Saarland University. Entrambi hanno divulgato finora solo pochi brevi articoli, comunque di notevole interesse, in pubblicazioni specializzate riguardanti le loro scoperte sui frammenti yemeniti. Erano restii a divulgarle, perché erano occupati a selezionare e classificare i frammenti piuttosto che ad esaminarli, anche perché avevano il timore che se le autorità yemenite si fossero resi conto delle possibile conseguenze delle scoperte, avrebbero potuto negare loro ulteriore accesso. Tuttavia von Bothmer nel 1997 aveva terminato  di scattare più di 35.ooo foto su microfilm dei frammenti e li ha riportati da poco in Germania. 

Ciò significa che presto von Bothmer, Puin ed altri studiosi avranno finalmente la possibilità di esaminare attentamente i testi e pubblicare liberamente le loro scoperte-una prospettiva che entusiasma Puin. 

“Tantissimi musulmani credono che tutto ciò che si  trova scritto dalla prima all’ultima pagina del Corano sia l’immutata Parola di Dio” afferma. Amano tirare in ballo il lavoro testuale che dimostra che la Bibbia ha una storia e che non è caduta direttamente dal cielo, ma fino ad ora il Corano è sempre stato fuori da questa discussione. L’unico modo per abbattere questo ostacolo è provare che anche il Corano ha una storia alle spalle. I frammenti Sana’a saranno di grande aiuto in questo.

Non è solo Puin ad esserne entusiasmato. “ L’impatto dei manoscritti yemeniti non ha ancora avuto pieno effetto” dice A.Rippin, un professore di studi religiosi dell’Università di Calgary, che si trova oggi in prima linea negli studi sul Corano. “Le varie interpretazioni e l’ordine dei versi sono molto significativi. Questi manoscritti ci rivelano che la storia primitiva del testo coranico è una questione molto più aperta di quanto si pensi: il testo si presentava meno stabile e perciò con meno autorità di quella che gli è sempre stata attribuita”.

Secondo i criteri degli studiosi biblici contemporanei, la maggior parte degli interrogativi sollevati dagli studiosi come Puin e Rippin sono assai modesti; al di fuori di un contesto islamico, affermare che il Corano ha una storia e che può essere interpretata metaforicamente non è un passo radicale. Ma non si può ignorare il contesto islamico né la suscettibilità musulmana. “ Inquadrare  il Corano in un periodo storico toglierebbe legittimità all’intera esperienza storica della comunità musulmana” dice R.S.Humphreys, un professore di studi islamici dell’Università della California a Santa Barbara.

 “Il Corano è lo statuto della comunità, il documento da cui ha tratto origine. E idealmente, non sempre in realtà, la storia islamica costituisce l’impegno di perseguire e tentare d’applicare i comandamenti del Corano alla vita reale. Se il Corano fosse un documento storico, i quattordici secoli di lotta islamica non avrebbero senso”.

Il punto di vista musulmano ortodosso che considera il Corano l’inconfutabile  Parola di Dio, perfetta ed inimitabile nel messaggio, linguaggio, stile e forma, è sorprendentemente simile al concetto fondamentalista cristiano “dell’inequivocabilità”  ed “ispirazione verbale” della Bibbia-concetto ancora molto diffuso in varie parti del mondo. Più d’un secolo fa lo studioso John W. Burgon attribuì a questo concetto un’espressione classica:

La Bibbia non è altro che la voce di Colui che siede sul trono! Ogni  Libro in essa contenuto, ogni Capitolo, ogni Versetto, ogni parola, ogni sillaba..ogni singola lettera è la diretta espressione dell’Altissimo!

  Non tutti i cristiani, tuttavia, la pensano così riguardo alla Bibbia. In effetti, come indicato dall’Enciclopedia dell’Islam (1981), “ l’affinità più stretta tra il credo cristiano ed il ruolo del Corano per il credo musulmano, non è la Bibbia, bensì Cristo. “Se Cristo è la Parola di Dio fatta carne, il Corano è la Parola di Dio trascritta  e dubitare della sua santità o autorità è considerato un vero e proprio attacco all’islam- come sa fin troppo bene Salman Rushdie.

Una pagina dal probabilmente più antico testo coranico, antecedente al 750 d.C. La luce ultravioletta rivela la presenza di ancora più antiche scritture coraniche sottostanti. Fotografia di Gerd-R. Puin.

L’eventualità di una reazione violenta dei musulmani non ha impedito lo studio critico-storico del Corano, come dimostrano i saggi contenuti in “Le origini del Corano” (1998). Perfino all’indomani della questione Rushdie, il lavoro non si era fermato: nel 1996 lo studioso del Corano G.Luling aveva scritto nel “Journal of Higher Critisìcism” su “ quanto ampia è stata la distorsione sia del testo Coranico che della narrazione degli islamici eruditi sulle origini dell’islam- un travisamento accettato perfino dagli islamici occidentali.”

Nel 1994, il giornale Jerusalem Studies …… pubblicò uno studio postumo di Yehuda D. Nevom, che elencava dettagliatamente le iscrizioni religiose sulle pietre del Deserto del Negev risalenti al settimo ed ottavo secolo. Secondo Nevo, queste costituiscono “problemi considerevoli per la narrazione tradizionale musulmana sulla  storia dell’Islam.” In quello stesso anno e sullo stesso giornale, Patricia Crone, una studiosa dell’islam originario che lavora all’ Istituto per le Ricerche Avanzate (New Jersey), pubblicò un’articolo dove affermava che cercare di spiegare passaggi discutibili del testo Coranico è possibile solo “abbandonando la narrazione tradizionale sull’origine del Corano”. 

Durante gli anni 70 ed 80 la Crone scrisse diversi libri e collaborò con altri autori, il più noto Michael Cook: Hagarism: l’origine del mondo islamico (1977) con dibattiti radicali circa le origini dell’islam e gli scritti sulla storia islamica. 

Tra le affermazioni più controverse del Hagarism vi è quella che ipotizza che il Corano sia stato composto più tardi di quanto si è sempre creduto “Non esistono evidenze determinanti tali da dimostrare che il Corano possa essere esistito in qualunque forma prima dell’ultima decade del settimo secolo”: che la Mecca non fosse in origine il santuario islamico –(diversi fattori ci fanno pensare che il santuario si trovasse nell’Arabia nord-occidentale…la Mecca divenne il santuario in seguito); che le conquiste arabe abbiano preceduto l’istituzione dell’islam; che l’idea della hijra, o trasferimento di Maometto ed i suoi seguaci dalla Mecca a Medina nel 622  possa essere accaduto molto tempo dopo la morte di Maometto (“non si è trovata nessuna traccia  risalente al settimo secolo che possa identificare l’era araba come quella della hijra”); e che il termine “musulmano” non fosse d’uso comune nell’epoca iniziale dell’Islam “(non ci sono basi plausibili  che presuppongano l’uso del termine musulmano tra i primi seguaci”),ma alcune fonti sì.. ….tutto ciò di cui sopra, si diceva, rivela che fosse in uso un titolo con cui la comunità primitiva si designava, ed in un papiro del 642 troviamo questo nome in greco “Magaritai”, in siriano “Magre” oppure “Mashgraye”, già dal 640).

Hagarism  fu subito attaccato in ugual misura dagli studiosi musulmani e non, dato che si fondava su fonti per loro molto ostili- (“questo è un  libro che si basa, dal punto di vista musulmano, su un’eccessiva considerazione di testimonianze provenienti da infedeli”, come dicono gli autori).

 Da allora  la Crone e Cook  hanno ritrattato alcune affermazioni più  radicali, per esempio, quella  che afferma che Maometto era vissuto due anni più tardi di quello che narra la tradizione musulmana, e che la storicità del suo trasferimento a Medina è discutibile. Tuttavia la Crone ha continuato a sfidare sia il punto di vista musulmana che ortodossa occidentale riguardo alla storia dell’Islam. In “Meccan trade and the Rise of Islam” (1987) riporta una diatriba dettagliata  che sfida l’opinione predominante  tra gli studiosi occidentali (ad alcuni musulmani) che sostiene che l’Islam nacque in risposta  al commercio delle spezie.

Il pensiero corrente di Puin circa la storia del Corano fa parte di questo revisionismo contemporaneo. “Io credo che il Corano sia una mescolanza di testi incomprensibili perfino ai tempi di Maometto” spiega. “ Parecchi di questi testi potrebbero essere addirittura un secolo più vecchi dell’Islam stesso. Anche nell’Islam stesso esiste  una gran quantità di informazioni contraddittorie, tra cui un notevole substrato cristiano; volendo se ne potrebbe ricavare un’intera anti-storia islamica.”

Patricia Crone difende lo scopo di questo pensiero. “Il  Corano è un testo sacro con una storia come qualunque altro testo, solo che non conosciamo questa storia e provochiamo gridi di protesta quando ci accingiamo a studiarla. Nessuno vi farebbe caso se queste proteste provenissero dagli occidentali, ma gli occidentali si sentono rispettosi nei confronti delle proteste di altri popoli: chi sei tu per manipolare il loro retaggio? Ma noi “islamicisti” non abbiamo intenzione di distruggere la fede di nessuno”:

Non tutti sono d’accordo con questa affermazione,  dacché la dottrina coranica occidentale si è tradizionalmente collocata in un contesto di ostilità dichiarata tra  cristianesimo ed Islam.

(In effetti il vasto movimento occidentale che  negli ultimi due secoli ha voluto “spiegare” l’Oriente, spesso conosciuto come Orientalismo, da tempo si trova sotto tiro per aver manifestato simili influenze religiose e culturali). In particolare per gli studiosi cristiani ed ebrei, il Corano pare circondato da un’aura di eresia; l’orientalista del 19° secolo W.Muir, sosteneva che il Corano è uno dei “nemici più tenaci della Civilizzazione, della Libertà e della Verità che il mondo abbia mai conosciuto.”

 Anche i primi studiosi sovietici intrapresero uno studio sulle origini dell’islam con motivazioni ideologiche, quasi con zelo missionario: negli anni 20 e 30 una pubblicazione sovietica chiamata “ATEIST presentava una serie di articoli che spiegavano la nascita dell’Islam in termini marxisti-leninisti. In Islam e Russia (1956), Ann  K.S Lambton riassunse gran parte di questo lavoro e scrisse che vari studiosi sovietici avevano teorizzato che “la forza movente della religione nascente veniva dalla borghesia mercantile della Mecca e Medina”; che un certo S.P.Tolstov affermò che “l’Islam era un movimento social-religioso nato in seno alla società araba schiavista non feudale…ecc.ecc.

Non sorprende che i pregiudizi scaturiti dai suddetti studi critici sul Corano a carattere non-islamico vengano rigettati in blocco dai musulmani. Una protesta particolarmente significativa apparve nel 1987 nel World Book Review in un documento intitolato “Metodo contro la verità”: studi su Orientalismo e Corano” di S.Parvez Manzoor, musulmano. Collocate  le origini della dottrina coranica occidentale negli “acquitrini della polemica del cristianesimo medievale”, Manzoor aveva orchestrato un attacco complesso e stratificato all’intero approccio occidentale all’Islam. Il suo saggio si apre con grande sdegno.

L’impresa orientalista di studi sul Corano, qualunque siano i meriti, è un progetto nato da ripicca, allevato in frustrazione e nutrito con vendetta…..l’uomo occidentale all’apice del suo trionfo, coordinando i poteri di Stato, Chiesa e sistema universitario, ha sferrato il suo attacco più determinato alla roccaforte della fede musulmana. Tutti i tratti  aberranti della sua arrogante personalità, il suo razionalismo sconsiderato, la sua mania di dominare il mondo ed il suo fanatismo settario si sono amalgamati per una cospirazione sacrilega per strappare la Scrittura musulmana dalla sua posizione stabilmente radicata come simbolo d’ autenticità storica e di moralità inattaccabile.

Il trofeo più ambito che l’uomo occidentale ha voluto conquistare in questa impresa sconsiderata è la mente musulmana stessa. Per poter liberare una volta per tutte l’occidente dalla “questione” dell’Islam, la coscienza musulmana deve essere portata a dubitare della certezza del messaggio Divino rivelato al Profeta…

Nonostante una tale opposizione, ricercatori occidentali con una varietà di interessi accademici e teologiche vanno avanti comunque ,applicando allo studio sul Corano tecniche moderne di criticismo testuale e storico.  La  rinomata Brill Publishers (europea), che ha pubblicato tra l’altro The Encyclopaedia of Islam e The Dead Sea Scrolls (I Rotoli del Mar Morto) ha commissionato la realizzazione dell’ Enciclopedia del Corano, la prima del suo genere. E questo incarico testimonia l’esistenza oggi di un nutrito gruppo di ricercatori e studiosi di questo genere.

Jane McAuliffe, insegnante di studi islamici all’Università di Toronto, e l’editore generale dell’enciclopedia, auspicano che l’opera abbia la stessa funzione di un “analogo approssimativo” delle enciclopedie bibliche..alcuni articoli che parlano della prima parte dell’enciclopedia sono al momento in preparazione per essere pubblicate entro quest’anno.

L’Enciclopedia del Corano costituirà un vero e proprio lavoro d’equipe, svolto da musulmani e non, ed  i suoi articoli presenteranno approcci molteplici all’interpretazione del Corano, alcuni dei quali probabilmente  costituiranno una sfida alle vedute islamiche tradizionali, disturbando di conseguenza molti islamici dato che i tempi non sono maturi per uno studio revisionista del Corano. Nasr Abu Zaid, egiziano, professore di arabo e membro del comitato consultivo dell’enciclopedia, illustra le difficoltà che affrontano gli studiosi musulmani nel trovarsi a re-interpretare la propria tradizione.

“Una macabra farsa”  

“Il corano è un testo letterario, e perciò l’unico modo possibile per capirlo, spiegarlo ed analizzarlo è attraverso un approccio letterario” spiega Abu Zaid. “Si tratta essenzialmente  di una questione teologica”.

 Per aver espresso una tale opinione sulla stampa, sfidando l’idea che il Corano deve essere considerato a tutti gli effetti la Parola di Dio assoluta ed immutabile, nel 1995 Abu Zaid è stato bollato come apostata. La corte egiziana gli ha ordinato in seguito di divorziare dalla moglie Ibtihal Yunis, in conformità a una legge islamica che proibisce il matrimonio tra apostati e musulmani (una legge che cadde addosso a Yunis, tra l ‘altro felicemente sposato, “come una mattonata tra capo e collo”. Abu Zaid si considera fermamente un musulmano devoto, ma crede che il contenuto esplicito  del Corano, (come certe famigerate leggi fin troppo arcaiche sul trattamento verso le donne), sia molto meno importante del contenuto ( purtroppo latente) spiritualmente valido e rigenerativo. Il punto di vista islamico ortodosso è molto screditante perché riduce un testo divino, dinamico ed eterno ad un’interpretazione umana senza vita, ridotto al pari di un’inezia ..un talismano..un ornamento”, asserisce Abu Zaid. 

Per un po’ di tempo Abu Zaid è rimasto in Egitto cercando di controbattere le accuse d’apostasia, ma di fronte a minacce di morte e pubbliche angherie è fuggito dal Cairo con la moglie per rifugiarsi in Olanda, indicando l’intera faccenda come “una macabra farsa”. 

Sheikh Yousseff al-Badri, il religioso che ha fomentato, con i suoi discorsi, gran parte dell’opposizione verso Abu Zaid, era esultante. “Noi non siamo terroristi; non abbiamo usato le mitragliatrici o altre armi, ma ciononostante siamo riusciti ad impedire ad un nemico dell’Islam di prendere in giro la nostra religione..nessuno si sognerà più di recare danno all’Islam.”

Dallo Yemeni Hoard: probabilmente un corano del nono o decimo secolo. Fotografia di Gerd-R. Puin.

La fuga di Abu Zaid per salvarsi la vita era più che giustificata; nel 1992 gli islamismi assassinarono il giornalista egiziano Farag Foda a motivo dei suoi scritti con cui criticava la Fratellanza Musulmana Egiziana; nel 1994 il Premio Nobel Naguib Mahfouz, romanziere, fu pugnalato a morte per aver scritto, tra gli altri, il romanzo allegorico Children of Gabalawi (1959). Questo romanzo, con una struttura simile al Corano, presenta giudizi “eretici” nei riguardi di Dio ed il profeta Maometto. 

Mohammed Arkoun, algerino, professore emerito di Pensiero Islamico dell’Università di Parigi spiega che “non rispettare l’interpretazione ortodossa del Corano è una faccenda molto delicata con serie implicazioni”. Milioni di persone fanno riferimento ogni giorno al Corano per giustificare le loro azioni ed aspirazioni” dice Arkoun”  ed oggi questo parametro di riferimento è più largo di quanto lo sia mai stato in passato.” 

Maometto nella caverna

La Mecca è situata in una conca arida tra due catene di ripide colline ad ovest del luogo oggi chiamato Arabia Saudita, nelle vicinanze della costa del Mar Rosso. Più ad est si estende il grande Rub’al-Khali o Empty Quarter, la più grande concentrazione di sabbia del pianeta. La città non è invitante all’aspetto: la terra è asciutta e polverosa, bruciata da un sole implacabile e l’intera regione è battuta da venti caldissimi.  Anche se non piove per anni, quando piove viene giù pesante creando torrenti d’acqua che scendono dalle colline allagando il bacino sottostante dove giace la città. Queste caratteristiche rappresentano uno sfondo verosimile per la divina rivelazione, con zone che rammentano le montagne del Sinai o la landa desolata della Giudea. L’unica vera risorsa d’informazione storica riguardo alla Mecca pre-islamica e le circostanze della rivelazione del Corano, è la classica narrazione Islamica sulla sua origine. Ne pubblichiamo qui alcuni estratti.

Nei secoli precedenti l’arrivo dell’Islam, la Mecca era un santuario pagano locale molto antico. I rituali religiosi ruotavano intorno alla Ka’ba, un tempio ancora oggi d’interesse primario per l’Islam, tanto che i musulmani credono sia stato costruito da Ibrahim (Abramo per i cristiani e giudei) e da suo figlio Isma’il (Ismaele). Con lo sviluppo economico della Mecca nel sesto secolo D.C., proliferarono idoli pagani di varie forme e misure. La storia tradizionale afferma che all’inizio del settimo secolo un pantheon con circa 360 statue ed icone circondavano la Ka’ba (dentro la quale sono  state ritrovate anche rappresentazioni di Gesù e della vergine Maria).

Tale era lo scenario in cui i primi versetti del Corano furono rivelate, come dice la tradizione, nel 610 ad un mercante benestante ma insoddisfatto di nome Muhammad bin Abdullah. (Maometto).

Maometto aveva l’abitudine di ritirarsi periodicamente in una vicina caverna per evadere dallo squallore pagano della Mecca e meditare in solitudine. Durante uno di questi ritiri fu visitato dall’angelo Gabriele,  

lo stesso angelo che annunciò la venuta di Gesù alla vergine Maria a Nazareth circa 600 anni prima. L’angelo esordì con il comando “recita a memoria!”, comunicando a Maometto che avrebbe dovuto servire Dio come Suo Messaggero.

In seguito e fino alla sua morte, il presunto analfabeta Maometto ricevette attraverso Gabriele rivelazioni divine in arabo, conosciute come qur’an (recitazione-racconto-resoconto) annunciando, dapprima in stile altamente retorico e poetico, un nuovo tipo di monoteismo: Islam, o “sottomissione” (alla volontà di Dio). Maometto riportò verbalmente queste rivelazioni a membri di famiglia ed amici, che li memorizzavano o li trascrivevano.

I cittadini più ricchi ed influenti della Mecca iniziarono a perseguitare Maometto e la sua piccola banda di seguaci devoti, la cui nuova fede rigettava il fondamento della cultura e vita economica degli abitanti di quella città. Il gruppo migrò, nel 622, alla  città di Yathrib, 200 chilometri  più a nord, chiamata in seguito Medina (abbreviazione di Medinat al-nabi, ovvero La città del Profeta). Questa migrazione conosciuta in Islam come la hijra, è considerata come il punto d’inizio della costituzione d’una comunità indipendente islamica; per questo  il 622 è considerato l’anno iniziale del calendario islamico. 

A Medina Maometto continuò a ricevere rivelazioni divine, di natura sempre più pragmatico e prosaico (banale), e nel 630 esisteva già un gruppo di seguaci sufficiente  per attaccare e conquistare la Mecca. Maometto trascorse gli ultimi due anni della sua vita facendo proseliti, consolidando il suo potere politico e continuando a ricevere rivelazioni.

La tradizione islamica sostiene che quando Maometto morì nel 632, le rivelazioni coraniche non erano state raccolte in un unico libro; erano state solo annotate “su foglie di palma, pietre lisce e nel cuore degli uomini. (questo non ci sorprende perché la tradizione orale era forte e ben radicata, e la grafia arabica senza segni vocalici ne punti sulle consonanti, in uso oggi, serviva più che altro come aiuto per la memorizzazione). Gli arabi di Medina, un’ aggregazione inverosimile di ex-mercanti, nomadi del deserto e agricoltori, uniti in questa nuova fede e ispirati dalla vita e dai detti del Profeta Maometto, a quel tempo si preoccupavano di più a inseguire una straordinaria  serie di conquiste internazionali in nome dell’Islam piuttosto che a occuparsi di riunire i versetti in un unico testo. Nel 640 gli arabi avevano conquistato la maggior parte della Siria, Iraq, Persia ed Egitto e trent’anni dopo erano diretti alla conquista di territori in Europa, Nord Africa, e Asia centrale.

Durante i primi decenni delle conquiste arabe, molti seguaci di Maometto furono uccisi e con loro scomparve anche molta conoscenza preziosa delle rivelazioni coraniche. Tra  i musulmani ai margini dell’impero cominciarono a nascere controversie sulla scrittura coranica. Un certo generale di ritorno dall’Azerbajan confidò i propri timori sulla disputa settaria al Califfo ‘Uthman (644-656)-il terzo governante islamico succeduto a Maometto. Si dice che sia stato supplicato di “prendere subito il controllo su questo popolo prima che inizino ad avere opinioni divergenti sul Corano, come fanno i Giudei ed i Cristiani con la loro Scrittura”.

Uthman convocò un comitato editoriale che raccolse con cura i vari pezzi della scrittura che erano stati memorizzati o scritti dai compagni di Maometto. Ne risultò una versione scritta standard del Corano. ‘Uthman ordinò di distruggere tutte le raccolte incomplete ed “imperfette” della scrittura Coranica; la nuova versione fu rapidamente distribuita nelle città più importanti del fiorente impero.  

Nei secoli successivi, mentre l’Islam si rinsaldava come entità religiosa e politica, una vasta quantità di letteratura esegetica e storica cominciò a propagarsi col proposito di spiegare sia il Corano che le origini  dell’Islam. 

Gli elementi principali dell’Islam sono le hadith, cioè la raccolta dei discorsi e la narrazione delle gesta del Profeta Maometto; la Sunna, l’insieme dei costumi islamici sociali e legali, la sira , cioè le biografie del Profeta, ed il tafsir, il commentario e la spiegazione del Corano. È da queste fonti tradizionali, compilati in forma scritta dalla metà dell’ottavo secolo fino alla metà del decimo, che derivano tutte le narrazioni sulla rivelazione del Corano e sui primi anni dell’Islam.

Per Il Corano, quasi equivalente, in dimensioni, al Nuovo Testamento, è diviso in 114 sezioni conosciute come  sura, che variano moltissimo in forma e lunghezza. Il principio con cui il libro è stato composto non è cronologico né tematico. Per la maggior parte le sura sono disposte dall’inizio alla fine in ordine decrescente di lunghezza. Malgrado la struttura insolita, ciò che sorprende chi si avvicina per la prima volta al libro, è la verosimiglianza con le credenze ed i racconti che compaiono nella Bibbia. 

Coloro che comprendono.

Pagina da un corano persiano dell’undicesimo o dodicesimo secolo. Cortesia del Museo Arthur M. Sackler, Museo dell’arte dell’Università di Harvard, Fondo per l’Acquisizione dell’arte islamica.

Dio, (Allah in arabo) regna sovrano: Egli è l’essere Onnipotente, Onnisciente e Misericordioso che ha creato il mondo e le sue creature; Egli comunica all’uomo i Suoi messaggi e precetti attraverso i profeti, ovvero coloro che guidano l’esistenza umana; e in un tempo che Lui solo conosce, determinerà la fine del mondo ed il Giorno del Giudizio. Adamo, il primo uomo, è espulso dal Paradiso per aver mangiato dall’albero proibito. Noè costruisce un’ arca per salvare una rimanenza dall’alluvione causata dall’ira di Dio. Mosè conduce gli israeliti fuori dall’ Egitto e riceve una rivelazione sul monte Sinai. Gesù, nato dalla vergine Maria è considerato il Messia che opera miracoli, ha dei discepoli e ascende al cielo.

Il Corano enfatizza molto su questo patrimonio monoteistico comune. Vi sono pure menzionati dei profeti: Hud, Salih, Shu’ayb, Luqman e altri, le cui origini sembrano esclusivamente arabe, e si rammenta ai lettori che si tratta di un Corano in arabo/per coloro che comprendono. Il Corano, malgrado affermi il contrario, è estremamente difficile da capire anche per i lettori contemporanei, perfino per gli arabi di istruzione elevata. Da un verso all’altro, ci sono considerevoli variazioni di stile, linguaggio e soggetto.

È facile trovarvi inconsistenze evidenti: ci si riferisce a Dio in prima e terza persona all’interno della stessa frase; versioni divergenti della stesso racconto sono ripetute in vari punti del testo; le decisioni divine a volte si contraddicono. In quest’ultimo caso, il Corano, anticipando le critiche, si auto-difende rivendicando il diritto di abrogare il suo stesso messaggio. (Dio cancella/o conferma come a Lui par bene”.) 

E le critiche non tardarono a farsi sentire. Nell’ottavo secolo,man mano che i musulmani venivano in contatto con i cristiani, le guerre di conquista erano sempre più accompagnate da polemiche teologiche; i cristiani e non solo loro, intuivano le origini umane del Corano a causa della sua composizione controversa e poco chiara. Gli stessi studiosi musulmani dovevano catalogare meticolosamente gli aspetti problematici del testo: vocabolario poco familiare, omissioni di testo, incongruenze grammaticali, interpretazioni fuorvianti, e così via.

 Un significativo dibattito teologico emerse all’interno dell’Islam verso la fine dell’ottavo secolo, contrapponendo coloro che credevano nel Corano come l ‘eterna e “non creata” parola di Dio, a coloro che credevano il contrario, cioè che il Corano fu creato in un dato momento come qualsiasi altra cosa creata al di fuori da Dio stesso. Sotto il califfo al-Ma’mèun (813-833), da quest’ultima convinzione scaturì la dottrina ortodossa.

Questa dottrina era sostenuta da diverse scuole di pensiero, tra cui una molto influente,il Mu’tazilism, che elaborò una complessa teologia basata in parte sul metaforico piuttosto che sulla semplice comprensione del testo. Alla fine del decimo secolo, l’influenza del Mu’stazilism era in declino per via di complicate motivazioni politiche. La dottrina ufficiale era divenuta quella dell’i’jaz, o “inimitabilità del Corano.  L’adozione della dottrina dell’inimitabilità è stato uno dei punti di svolta nella storia Islamica, e dal decimo secolo fino ad oggi  la maggior parte dei musulmani considera il Corano come la Parola di Dio, letterale e non creata.

Vandalismo psicopatico? 

Puin parla con disprezzo a riguardo della tradizionale buona volontà degli studiosi musulmani ed occidentali nell’ accettare l’interpretazione convenzionale del Corano. “Il Corano si auto-definisce “mubeen” (chiaro) spiega Puin. “Ma se si guarda con attenzione, si nota benissimo che ogni tanto le quinte frasi d’ogni verso non hanno un senso compiuto. Molti musulmani e orientalisti vi diranno che non è così, ma il fatto è che un quinto del testo coranico è assolutamente incomprensibile. Ecco perché ci sono state tante preoccupazioni e perplessità riguardo alle traduzioni. Se il Corano non è comprensibile nemmeno per gli arabi, allora non è traducibile. Ecco da dove nascono i dubbi ed i timori della gente. Poichè il Corano viene descritto come chiaro e comprensibile, ed ovviamente non lo è,( anche chi parla eccellentemente l’arabo lo può confermare) è chiaro che esiste una grossa contraddizione. Ci deve essere qualcos’altro sotto.” 

Il pensiero che fosse “qualcos’altro sotto” cominciò a serpeggiare all’inizio di questo secolo. “Fino a poco tempo fa, “si davano per scontate le cose che i musulmani dicevano di sapere sull’origine e significato del Corano, ritenendole corrette. Se si lascia cadere questo presupposto, bisogna rifarsi da capo” spiega Patricia Crone. “Non è certo un’impresa facile, dato che il Corano è arrivato a noi profondamente intriso di una tradizione storica molto refrattaria a critica ed analisi. Ecco come la Crone lo descrive in “Schiavi e cavalli”. 

Gli editori biblici ci offrono sezioni della tradizione ebrea nelle diverse  fasi di “cristallizzazione”e le loro testimonianze possono essere confrontate e soppesate una contro l’altra. Ma la tradizione musulmana era la conseguenza, non di una lenta cristallizzazione bensì di un’esplosione; i primi autori non erano redattori ma raccoglitori di frammenti discrepanti tra loro nei contenuti;  confrontandoli non se ne ricava chiarimento alcuno.

Non sorprende (visto l’espansione iniziale dell’islam primitivo ed il tempo intercorso tra la nascita e la prima documentazione storica sistematica di questa religione), che il mondo di Maometto e quello degli storici che scrissero di lui siano tanto dissimili. Soltanto nel primo secolo dell’Islam, un manipolo di nomadi pagani del deserto erano riusciti a diventare i difensori di un vasto impero di monoteismo istituzionale, brulicante di attività letteraria e scientifica senza precedenti. 

Molti storici contemporanei sostengono che non ci si può aspettare che le narrazioni islamiche sulle sue origini (vista anche la tradizione orale dei primi secoli), possano essere sopravvissute intatte alle incredibili trasformazioni sociali; tanto meno che uno storico musulmano del nono o decimo secolo dell’Iraq possa  aver ripudiato il proprio ambiente  sociale ed intellettuale (e convinzioni teologiche) solo per documentare un contesto arabo tra l’altro poco conosciuto.

R.S.Humphreys scrive in “Islamic History”(A Framework for Inquiry): se il nostro scopo è comprendere in che modo i musulmani del tardo 2°/8° e 3°/9° secolo (Calendario islamico/calendario cristiano) intendessero le origini della loro società, va benissimo.. Ma se lo scopo invece è scoprire “cosa è successo veramente” nei primi decenni della società islamica in termini di risposte documentate ed affidabili, allora siamo veramente nei guai.

La persona che più di ogni altra ha dato uno scossone agli studi sul corano negli ultimi decenni è stato John Wansbrough.  Puin lo sta rileggendo per prepararsi all’analisi dei fammenti yemeniti. Patricia Crone dice che lei e Cook “non hanno detto molto sul Corano in “Hagarism” che non fosse basato su Wansbrough”. Altri studiosi criticano le sue opere ritenendole frutto di un colossale auto-inganno. Ma che piaccia o meno, chiunque oggi si voglia confrontare con lo studio critico del Corano deve contendere con i due lavori più importanti di Wansbrough: Quranic Studies: Sources and Methods of Scriptural Interpretation (1977) and The Sectarian Milieu: Content and Composition of Islamic Salvation History (1978).

Egli concluse che il Corano si è evoluto in modo graduale verso il  settimo/ottavo secolo, durante un lungo periodo di tradizione orale, quando le fazioni giudaiche e cristiane erano impegnate in lotte e controversie a nord della Mecca e Medina, dove sono situate oggi alcune aree della Siria, Giordania, Israele ed Iraq. “La ragione per cui non è giunto a noi nessun materiale islamico del primo secolo è perché semplicemente questo materiale non è mai esistito” conclude Wansbrough. 

Lui ritiene che la tradizione islamica sia un esempio di una “storia di salvezza” come la conoscono gli studiosi biblici :cioè una storia con motivazioni teologiche ed evangeliche sull’origne di una religione inventata troppo tardi ma progettata molti anni addietro. 

Le teorie  arcane di  Wansbrough  sono state contagiose per certi circoli di studiosi , ma molti musulmani le trovano profondamente offensive.

S.Parvez Manzoor, per esempio, ha descritto gli studi Coranici di Wansbrough ed altri come “un palese discorso di potere” ed “un’ esplosione di vandalismo psicopatico”. Piuttosto che sostenere  l’indietreggiamento di progetti di studi sul Corano, Manzoor spinge i musulmani a sconfiggere i revisionisti occidentale sul “campo di battaglia epistemologico”, ammettendo che prima o poi (noialtri musulmani) dovremo affrontare il Corano attraverso presupposti e parametri radicalmente in contrasto con quelli consacrati dalla nostra tradizione.”

Revisionismo all’interno del mondo Islamico.

In effetti, per più d’un secolo ci sono state delle figure pubbliche del mondo islamico che hanno tentato o studio revisionista della storia del Corano e dell’Islam. Il professore egiziano esiliato Nasr Abu Zaid non è stato l’unico.

Il suo predecessore più famoso è stato forse il prominente ministro del governo egiziano Taha Hussein, professore universitario e scrittore. Modernista determinato, Hussein si dedicò, negli anni 20, allo studio della poesia araba pre-islamica. Egli  concluse che una gran parte del lavoro era stato architettato ben oltre la fondazione dell’Islam allo scopo di sostenere la mitologia coranica.  Un esempio più recente viene dal giornalista e diplomatico iraniano Ali Dashti, che nella sua opera Twenty Three Years: uno studio sulla carriera profetica di Maomettto (1985), rimprovera ripetutamente i suoi compagni musulmani per non aver messo in dubbio i racconti tradizionali sulla vita di Maometto, che lui definiva in gran parte “creazione di miti e commercio di miracoli”.

Abu Zaid cita Muhammad’Abduh come un precursore dall’enorme influenza. Come padre del modernismo egiziano (vissuto nel 19° secolo)Abduh scorse il potenziale per una nuova teologia islamica nelle teorie Mu’tazilis del 9° secolo. Le idee dei Mu’tazilis guadagnarono popolarità in alcuni circoli musulmani agli inizi del 1900 (portando lo scrittore ed intellettuale egiziano Ahmad Amim ad affermare, nel 1936, che la scomparsa del Mu’tazilism è stata la più grande sventura per i musulmani; essi hanno commesso un crimine contro se stessi). 

Il defunto studioso pakistano Fazlur Rahman, portò la fiaccola del Mu’tazilite fin dentro l’era presente; dagli anni 60 fino alla sua morte, nel 1988, visse ed insegnò negli Stati Uniti, dove ammaestrò nella tradizione Mu’atalizita molti studenti dell’islam, musulmani e non.

Questo lavoro gli costò il marchio d’ apostata in Egitto, proprio come Abu Zaid;  Ali Dasthi morì in circostanze misteriose subito dopo la rivoluzione iraniana del 1979 e Fazlur Rahman fu espulso dal Pakistan negli anni 60.

I musulmani che desiderano sfidare la dottrina ortodossa devono procedere con molta cautela. “Vorrei tanto far uscire il Corano da questa prigione” ha dichiarato Abu Zaid, in riferimento all’ostilità diffusa verso la 

re-interpretazione del Corano per l’età moderna “affinché questo testo possa diventare utile per l’essenza della nostra arte e cultura, attualmente soffocate nel nostro paese.”

Malgrado i molti nemici in Egitto, Abu Zaid sta facendo raggiungendo questo obbiettivo: ci sono dei segni che indicano che il suo lavoro, sotto sotto, viene ampiamente letto nel mondo arabo. Abu Zaid dice che il libro principalmente responsabile del suo esilio, “The concept of the text”  è stato già ristampato otto volte clandestinamente al Cairo e in Beirut.

Un altro studioso impegnato a riesaminare il Corano è il professore algerino Mahammed Arkoun, anch’egli con un vasto numero di lettori. Arkoun sostiene in “Lectures du Coran” (1982) che  “è tempo (per l’islam) di  assumersi i moderni rischi della conoscenza scientifica, insieme a tutte le grandi tradizioni culturali”, suggerendo tra l’altro  che “il problema della divina autenticità del Corano può servire a riattivare il pensiero islamico e coinvolgerlo nei maggiori dibattiti della nostra epoca”. 

Arkoun si rammarica del fatto che la maggior parte dei musulmani non sono consapevoli che esiste una diversa concezione del Corano all’interno della loro stessa tradizione storica. Riesaminare la storia dell’Islam offrirà ai musulmani l’opportunità di sfidare dall’interno l’ortodossia musulmana, piuttosto che affidarsi a risorse esterne “ostili”, sostengono Arkoun ed altri. 

Arkoun, Abu Zaid ed altri studiosi sperano che questa sfida possa condurre, in ultima analisi, ad un rinascimento islamico.

Il divario tra queste teorie accademiche e l’osservanza pratica dell’Islam nel mondo è enorme;

la maggioranza dei musulmani oggi sono poco disposti a mettere in dubbio la veduta ortodossa del Corano e della storia islamica. Eppure l’Islam è diventato una delle più grandi religioni del mondo, in parte grazie alla sua apertura ai cambiamenti sociali ed alle nuove idee. (Secoli addietro, quando l’Europa si trovava impantanato negli anni bui dell’Alto Medioevo, i saggi di una civiltà islamica fiorente aprivano un’era di grandi scoperte scientifiche e filosofiche. I concetti degli antichi greci e romani forse non sarebbero mai state introdotti in Europa non fosse stato per gli storici e filosofi islamici che li riscoprirono e li fecero rivivere).

La stessa storia dell’Islam dimostra che la concezione predominante del Corano non è l’unica esistita, e la storia recente della cultura biblica rivela che non tutti gli studi critici-storici di una sacra scrittura sono necessariamente  antagonistici.

Si possono invece portare avanti questi studi con lo scopo della rigenerazione spirituale e culturale. Possono, come dice Arkoun, demistificare il testo riaffermando nello stesso tempo “l’importanza di maggiori intuizioni”.

Si presenteranno inevitabilmente interpretazioni sempre più varie del Corano e della storia islamica nei decenni a venire, una prospettiva facilitata dal dissolvimento graduale delle tradizionali differenze culturali tra oriente, occidente,l nord e sud; dal continuo accrescimento della popolazione musulmana; dall’investigazione continua delle risorse  storiche primitive e dall’incontro del femminismo col Corano. Con la diversità di interpretazioni aumenterà sicuramente la suscettibilità, probabilmente rafforzata dal fatto che l’Islam adesso è presente in una molteplicità di ambienti sociali ed intellettuali: Bosnia, Iran, Malesia, Nigeria, Arabia Saudita, Sudafrica, Stati Uniti e così via. 

Chiunque voglia comprendere gli avvenimenti globali, dovrà comprendere la civiltà islamica in tutte le sue permutazioni. Di sicuro il modo migliore per cominciare è quello d’ intraprendere lo studio del Corano che promette, negli anni a venire, di esser controverso, affascinante ed importante quanto lo è stato lo studio della Bibbia in questo secolo.  

Traduzione 

Francesco di Maggio

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