COMPRENDERE LA MENTALITÀ ISLAMICA

COMPRENDERE LA MENTALITÀ ISLAMICA

Forse anche tu, come me, hai avuto qualche difficoltà a comprendere cosa sia a “far scattare” un musulmano.
Nonostante tutti gli aspetti comuni all’islam e al cristianesimo, i musulmani sembrano trovarsi su un’altra lunghezza d’onda. Le similitudini sono, infatti, per lo più superficiali: scendendo in profondità siamo diversissimi. La spiegazione di queste risiede, a mio parere, nella visione che i musulmani hanno del mondo, di Dio e dell’uomo.

Troviamo la chiave al mondo islamico nella stessa parola “islam”. È una parola araba il cui significato i musulmani amano dichiarare essere “sottomissione” (infatti, il termine “musulmano” significa “colui che si sottomette”). L’importanza di questo termine risiede nel fatto che, attraverso di esso, il musulmano interpreta quale sia il rapporto di Dio con l’uomo. La forma verbale è di solito usata per intendere un uomo che, sconfitto, deponga le armi: egli “fa la pace” o “si sottomette”. Lo stesso concetto si può ricavare dai frequenti termini sinonimi di “Allah” e di “uomo” presenti nel Corano.

Cinque volte al giorno il musulmano deve rivolgersi ad Allah come Signore dei mondi, secondo la formula trovata nella prima Sura (N.d.T. “capitolo”) del Corano, e deve prostrarsi a terra come suo schiavo.

I cristiani noteranno subito che anche nella Bibbia ci sono importanti riferimenti al concetto di “sottomissione” a Dio (Giacomo 4:7); essa è, in effetti, al centro dell’insegnamento di Gesù riguardo all’essere discepoli e riguardo al Regno di Dio. Dobbiamo tuttavia specificare che il concetto biblico di sottomissione è ben diverso da quello del Corano.

Per evidenziare alcune delle differenze, notiamo che l’islam spiega l’attuale separazione dell’uomo da Dio non con la natura peccaminosa dell’uomo, ma con la natura trascendentale di Dio. Dio è “del tutto estraneo” o “del tutto separato, diverso”, e quindi, in generale, è inconoscibile; Egli non si “rivela” agli uomini. In altri termini, la nostra condizione attuale è normale. Gli esseri umani sono, in definitiva, “buoni e puri”, seppure “deboli” e “smemorati” (nel giardino dell’Eden, Adamo si è semplicemente dimenticato il comandamento di Dio). Gli esseri umani peccano, ma hanno la facoltà morale di non farlo, e di compiere, quindi, il bene. Ciò di cui necessitano è una guida. Questa guida è stata offerta da Dio nel Corano e nelle tradizioni islamiche, che, secondo i musulmani, sono la vera e propria “Legge di Dio”. Il fine di tutto questo era la creazione di un nuovo ordine sociale, basato sulla legge divina. Per i musulmani questo nuovo ordine ha preso vita nel 622 d.C., anno in cui Maometto ha istituito la prima comunità islamica.

Per essere esaurienti, si dovrebbero trattare molteplici altri fattori, di carattere sia storico sia ideologico. È evidente, però, che il cuore dell’incompatibilità nella visione del mondo tra islam e cristianesimo risiede nella visione utopica della natura umana; questa è, infatti, la sua pietra d’inciampo. Quanto realistica è invece, a confronto, la Bibbia, secondo la quale il problema della separazione non consiste nella trascendenza di Dio, ma nella natura peccaminosa dell’uomo.

L’uomo non ha una facoltà morale che lo renda capace di non peccare: egli è schiavo del peccato. Una semplice “guida” non è sufficiente a trasformare l’essere umano in una creatura sottomessa. Il messaggio della Bibbia è che solamente Dio può attuare una trasformazione di questo genere! Egli lo ha già fatto attraverso Gesù Cristo (Romani 8:3-4).

Francesco Maggio

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